Il paziente entra, un po’ a disagio e si guarda intorno forse per essere rassicurato dai presenti. C’è un angolo libero e insieme al suo compagno lo raggiungono tra gli sguardi incuriositi degli altri. Non c’è che sedersi e aspettare il proprio turno. Beh sedersi è forse esagerato: sedersi, alzarsi, guardarsi intorno, risedersi, alzare gli occhi al cielo sarebbe più giusto. Uno dei presenti, forse per cercare di vincere il nervosismo, si rivolge al vicino e chiede “Io mi chiamo Jasper e tu?”. Uffa, il solito nervoso che non sa prendere la vita come viene “Io mi chiamo Lulù e sono qui solo per venire a trovare un’amico”. Un terzo, stretto stretto alla sua compagna, la guarda, sospira e mormora “Magari fosse lo stesso anche per me. L’ultima volta che siamo venuti qui mi avevano detto la stessa cosa e poi mi sono ritrovato con tre buchi nella schiena e fatti per giunta a tradimento! A proposito, io mi chiamo Leo e non abito da queste parti. Ho fatto un lungo viaggio sul sedile posteriore di quell’affare tremolante e rumoroso che i miei compagni si ostinano ad usare e quando siamo arrivati non stavo niente bene. La prima cosa che hanno pensato di fare, forse per consolarmi, è stata di dirmi che mi portavano da un amico ed era qui!”. Ma ecco si apre una porta e tutti cercano di guardare da un’altra parte, la voce dice “Avanti il prossimo” e Jasper, sconsolato, si alza e si avvia. Dopo Jasper anche Lulù entra e per salutare Leo guaisce tenerissima “tra poco tocca a te, non ti preoccupare, Alois il veterinario è una persona gentile e molto delicata. Non ti farà niente che possa farti male!”. “Sarà”, pensa Leo spiattellandosi sul pavimento e, alzando gli occhioni dolci verso i suoi compagni, sospira.
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