Il solo “rumore” è il fruscio delle ruote, poco lontano scorre il fiume, le canne si agitano leggermente nel vento e tendono ad invadere la pista proprio nel momento in cui si passa. E non importa. La gioia di poter assaporare tutto questo è tale da cancellare anche altre piccole cose come la totale mancanza di staccionata ai bordi, bruciata durante il primo inverno dai nomadi in cerca di calore, le infinite piccole crepe nell’asfalto rosso curiosamente contrassegnate da piccoli segni bianchi come a dire “ti ho visto, un giorno o l’altro passo di qui con una goccia d’asfalto e ti riempio!”, i passaggi ufficiali attraverso cui la bicicletta non passa e quelli realizzati da infiniti passaggi di ciclisti sul terreno a fianco che, d’inverno, si riempiono di fango.
Ma, purtroppo, questa gioia tende a diminuire quando dal tratto campagnolo si passa a quello urbano. Qui la pista è solo tracciata da due strisce di vernice bianca separate da un segno tratteggiato e scorre lungo il Tevere. I sampietrini, mossi anche dalle ultime piene del fiume sono tutti sconnessi e la prima idea che viene in mente è quella di un frullatore. Forse la bicicletta è vecchia, non ha ammortizzatori e anche la sella è piuttosto rigida e il tutto trasmette una vibrazione quasi insopportabile. Sembra inoltre di essere permanentemente in salita. Ma anche qui si possono trovare momenti di tranquillità e di piacere. Una coppia di anziani si è portata i panini e una bottiglia di acqua minerale e, all’ombra di un platano, mangia e chiacchiera totalmente isolata dal mondo esterno. Più avanti alcuni gabbiani hanno pescato qualcosa dal fiume e se lo contendono svolazzando fra un isolotto di alghe e il vecchio tronco di un albero abbattuto. Una piccola canoa gialla risale la corrente e quasi sembra gareggiare con un ciclista ma in realtà è solo un gioco tra persone che se la stanno godendo.
E il traffico resta lontano, solo un rumore di motori e di gente arrabbiata. Pedala, ti fa anche bene!
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